WIRED_Arte videoludica Made in Italy: Marco Mendeni by Matteo Bittanti

29/10/2012 INTERVISTA A MARCO MENDENI  [WIRED] MATTEO BITTANTI

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Arte videoludica Made in Italy: Marco Mendeni

29 ottobre 2012 di Matteo Bittanti

In collaborazione con GameScenes, siamo felici di presentare ai lettori di WIRED un’intervista conMarco Mendeni, artista italiano che risiede a Berlino la cui pratica si concentra sul medium videoludico. L’ultima performance di Mendeni è stata presentata all’evento PLAYING THE GAME(Milano, 27-28 ottobre 2012) curato da Paolo VJ VISUALLOOP Branca. Questa intervista – realizzata tra San Francisco, Berlino e Milano – si è svolta online tra settembre e ottobre.

Matteo Bittanti: Puoi descrivere il tuo itinerario artistico e formativo per i lettori che non conoscono i tuoi lavori?

Marco Mendeni: Mi sono laureato all’Accademia di Belle Arti di Brera in pittura, con una tesi sull’influenza degli universi videoludici nell’arte, successivamente il mio interesse per i nuovi media è cresciuto e ho deciso di frequentare  il biennio specialistico al dipartimento di nuove tecnologie per l’arte. Quegli anni mi hanno permesso di affinare di molto la mie conoscenze teoriche e pratiche sperimentando l’utilizzo delle nuove tecnologie comunicative e mediali in termini di nuove possibilità espressive. Ho concluso il biennio con una tesi che affrontava  il dibattito sui confini e le interferenze videoludiche nell’era mediale. La mia duplice  formazione, tradizionale da una parte e dall’altra legata alla scoperta di nuove forme di espressione mi ha spinto a ricercare un equilibrio possibile nella fusione di tutti quegli elementi che caratterizzano l’uno e l’altro aspetto della realtà. Questa ricerca  è diventata con il tempo la sintesi del mio lavoro. Alcuni lavori della serie “Concrete Works” ad esempio sono realizzati con una tecnica antica per poter spostare il dipinto realizzato su muro da una città all’altra . Io ho solo cambiato i soggetti sostituendo la maternità con screenshot di Half-Life o DOOM . Nel mio lavoro cerco di sfruttare diverse tecniche espressive per poter raccontare la trasformazione del reale messa in atto  dalle nuove tecnologie e constatare come il videogioco sia uno strumento molto efficace e uno dei sintomi più significativi per la rappresentazione dell’uomo nell’era digitale.

Matteo Bittanti: Sei nato a Brescia, ma risiedi a Berlino e a Milano. O, come si dice oggi, “tra”. Qual è la differenza tra queste due città in termini di sensibilità artistica, apertura al nuovo, capacità di confrontarsi con le risorse dei dei nuovi media? Quale delle due realtà urbane trovi più stimolanti e sorprendenti per la tua ricerca?

Marco Mendeni: Sotto molti aspetti, Berlino ricorda i videgiochi anni Ottanta… è cupa al punto giusto… La sua architettura e la sua estetica mi stimolano tantissimo, senza parlare dell’antenna  televisiva di Alexanderplatz … Magnifica. Per quanto riguarda gli stimoli creativi, entrambi le città coincidono con momenti e esigenze diverse, Milano ha su di me un’ effetto lavorativo iper-produttivo, ma soffre a volte di un eccessivo provincialismo, mentre Berlino ha di suo la qualità di essere una  città dove la ricerca e nuovi stimoli espressivi sono caratterizzanti, ma a volte crea un po’ di dispersione. Diciamo che è un buon connubio.

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Marco Mendeni, Impossible Bckgrounds, screenshots, 2010


Matteo Bittanti: Game Art come performance collettiva. Ci racconti il progetto “Impossible Backgrounds”?

Marco Mendeni: Impossible Backgrounds è un progetto nato per esplorare il videogioco andando oltre al videogioco stesso. Oltrepassando le logiche più immediate e scontate. Vuole essere un ibrido con forme e generi espressivi diversi. Avevo in mente da un po’ di tempo di miscelare ambienti naturali di alcuni game con sonorità e contaminazioni di vario genere. La prerogativa era che tutto succedesse in real time, live, con una forte componente di improvvisazione. Grazie all’incontro a Berlino con i musicisti Bob Meanza  e Filipe Dias De il progetto è decollato. La propensione di Bob verso le possibilità espressive degli strumenti elettronici portati al di fuori dei contesti tradizionali, unita al desiderio comune di performance e improvvisazione ha dato vita sin da subito a una grande sinergia, la nostra collaborazione continua e stiamo pensando a interessanti sviluppi futuri.

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Marco Mendeni, I Am Niko Bellic, screenshots, 2010

Matteo Bittanti: Giochi di camera: Niko Bellic e il suo doppio (il player, l’avatar). Qual è il potenziale del machinima in ambito artistico, a tuo avviso?

Marco Mendeni: I Am Niko Bellic, uno dei  miei primi machinima, è nato dopo giorni di vagabondaggio a Liberty City, fermandomi e utilizzando un movimento di camera in modo rotatorio e continuo ho creato un loop quasi ipnotico spezzando il ritmo di gioco. Ho potuto così vedere il mio avatar decontestualizzato, obbligandomi ad osservarlo in modo diverso.. È stato folgorante… da li in poi il machinima è entrato di prepotenza nel mio lavoro. Per quanto riguarda Il machinima, inteso come una forma di arte autonoma, sta contribuendo a rivoluzionare il mondo dei media e soprattutto il nostro rapporto con esso, non di meno,  in abito artistico, a mio avviso rappresenta una straordinaria possibilità espressiva. Nel mio caso mi ha permesso di raccontare qualcosa di estranio al videogioco attraverso il filtro culturale del videogioco stesso. Poter utilizzare ambienti 3D delle simulazioni non come arene di gioco, ma per lo più come mondi offre una quantità impressionante di possibilità comunicative.

image from www.flickr.com
Marco Mendeni, SimCity (Concrete Works), 2011

“Il mio lavoro spesso nasce in una zona franca a metà strada fra il virtuale ed il reale (se cosi possiamo ancora chiamarli). Cement Works utilizza come base [solida] proprio il cemento (quale materiale più del cemento ci riporta alla nostra realtà fisica?) per ospitare i “segni” che gli universi sintetici lasciano. Così permetto che due realtà agli estremi si incontrino, la materia che contraddistingue il nostro passato/presente industriale fisico e pesante e i mondi virtuali incorporei e leggeri.” (Marco Mendeni)

Matteo Bittanti: Mi racconti questa immagine? Trovo affascinante l’idea di trasformare la fluidità della simulazione urbana per eccellenza, SimCity in una sorta di monumento “concreto”, se perdoni il pessimo gioco di parole…

Marco Mendeni: Mi ha affascinato l’idea di immortalare, tramite la concretezza del cemento, un’immagine che rappresentasse  sia la simbologia del nostro accanimento alla nostra replica del reale, sia la propensione  dell’uomo di controllare tutto quello che lo circonda, insomma la possibilità data dalla simulazione di essere il dio. Esemplifica a mio avviso la strada intrapresa. Ed è comunque straniante vedere un’immagine di SimCity trasfigurata su un materiale che ricorda inesorabilmente la nostra corporeità.

image from www.flickr.com
Marco Mendeni, Bot (Concrete Works), 2011

Matteo Bittanti: C’è qualcosa di assolutamente affascinante nel bot, queste linee di codice che performano sullo schermo come “reale” meatware, l’intelligenza artificiale che presenta aspetti più umani dell’umano. La figura del bot ricorre nei tuoi lavori (esempio).

Marco Mendeni: Il bot fa  pensare a come l’uomo stia costruendo una realtà specchio, questo porta a mettere in discussione la propria realtà.  Il nostro mondo, diventa sempre più simile alle nostre simulazioni e non il contrario. Il bot in poche parole ci interroga sulla nostra natura. È da questo presupposto che ho iniziato a concretizzare una serie di lavori. Ho iniziato a lavorarci dopo diverso tempo che giocavo a S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl, Il gioco di una talentuosa software house ucraina che riprende sotto molti aspetti il geniale film “Stalker” di Andrej Tarkovskij. A colpirmi non è stato il gioco in se ma la scelta dei programmatori  (anomala) di lasciare i cadaveri una volta uccisi, stesi al suolo senza farli scomparire magicamente una volta abbandonata l’area. Osservare quei corpi successivamente, mi ha molto colpito, da quel momento ho iniziato a “fotografarli” ed immortalarli su cemento.

Matteo Bittanti: Sul piano estetico, cosa offre il videogame rispetto ad altre espressioni della cultura visuale?

Marco Mendeni: Nel mio lavoro mi piace osservare l’evoluzione estetica del media videoludico in termini di fotorealismo, sono affascinato dall’illusione del reale.  La velocità e la trasformazione nel media in questi termini è impressionante… Questo offre la possibilità di un continuo rinnovamento, è sorprendentemente mutevole. Dall’altra la forma culturale dei  videogiochi ha portato alla diffusione di una nuova estetica videoludica che come sappiamo ha coinvolto non solo l’arte ma la società nel suo complesso. Il fatto che contenga in se una moltitudine di linguaggi la rende a mio avviso meglio di altre, adatta per descrivere la nostra contemporaneità.

Matteo Bittanti: Concrete Works: un modo interessante di esplorare il rapporto tra virtuale e materiale. Quanto tempo passi in zone liminali e schermiche?

Marco Mendeni: All’inizio della nostra storia incidevamo la roccia per poi dipingere sull’intonaco nelle cattedrali, mi piace pensare all’intervento su cemento come un proseguo del gesto umano sulla materia e mi piace che il l’immagine racconti proprio della nostra fuga dalla materia stessa. Per me è un pò come un’ultima dedica al reale, una concreta testimonianza dell’ evento. Dall’altra la sperimentazione del virtuale è una componente importante della mia ricerca e passo una considerevole dose del mio tempo davanti al monitor…  credo che non riuscirei a raccontare la virtualità senza viverla, penso comunque che l’esperienza con la materia mi dia la possibilità di osservare entrambe le realtà da due punti di vista differenti.

Matteo Bittanti: Game Art: quali sono gli artisti o le opere che ti affascinano o che hanno ispirato il tuo percorso artistico?

Ne potrei citare molti, ma quelli che hanno influito maggiormente sulla mia ricerca sono i lavori del duo  JODI e dello Spagnolo Joan Leandre. Ho visto gli ultimi lavori di Leandre alla DAM Gallery di Berlino mentre realizzavo il progetto FOV, sono stato estremamente affascinato  e contaminato dal suo linguaggio. Mi affascinano anche i lavori dell’Italiano Damiano Colacito, l’opera “SUPERMARIO SLEEPING” di Miltos Manetas, Eva e Franco Mattes, Brody Condon…… 

Matteo Bittanti: A cosa stai lavorando ultimamente? Quali spazi stai esplorando? 

Marco Mendeni: Il mio ultimo progetto è stato FOV, una serie di  lavori video nati da Mod che ho realizzato per Skyrim. Lavorare sull’immagine catalizzante della natura attraverso una simulazione commerciale mi ha portato a nuovi sviluppi stimolanti. Credo mi concentrerò su quell’aspetto per un po’…

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